“L’ultima foglia” di O. Henry

Aprile 12, 2006

In un piccolo quartiere ad ovest della piazza Washington, le strade impazzirono e si ruppero  nelle piccole strisce chiamate  “località”. Queste “località” formano strani angoli e curve. Una Strada attraversa l’altra una o due volte. Una volta un’artista scoprì il lato estremamente utile di questa strada.  Immaginiamo che un collezionista con il conto da pagare per colori, carta e tela, possa, compiendo il suo percorso, ad un tratto incontrare se stesso di ritorno senza che nessun centesimo sia pagato in credito!

Quindi, in quel vecchio pittoresco villaggio di Greenwich gli artisti giravano per strada in cerca delle finestre che davano al nord e i tetti a due spioventi del diciottesimo secolo, degli attici Olandesi e affitti bassi. Dopo riportarono vasellame in peltro e scaldavivande dalla Sesta Via e diventarono “colonia”.

In cima di una massiccia casa di mattoni a 3 piani Sue e Johnsy avevano il loro studio. “Johnsy” era il diminutivo di Joanna. Una proveniva da Maine, l’altra dalla California. Si incontrarono al table d’hote “Delmonico’s” sulla Ottava Strada e scoprirono i loro gusti in arte, insalata di cicoria e maniche a sbuffo talmente simili che nacque lo studio in comune.

Questo succedette in Maggio. Nel mese di Novembre, un estraneo freddo ed invisibile, che i dottori chiamarono “Polmonite” si aggirava furtivamente  all’interno della colonia, toccando ogni tanto qualcuno con le sue dita di ghiaccio. Laggiù sul lato est, questo distruttore proseguiva in maniera baldanzosa, colpendo le sue vittime a ventine, ma i suoi passi si muovevano a fatica attraverso i labirinti delle “località” strette e muscose.

Signor Polmonite non è esattamente quello che noi possiamo chiamare un antico cavaliere. Piccola esile ragazza con il sangue indebolito dallo zefiro della California sarebbe difficilmente stata un gioco leale per un omone dai pugni rossi e fiato corto. Ma lui colpì Johnsy.; e lei adesso giaceva nel suo  letto di ferro battuto pitturato, quasi immobile, guardando attraverso il vetro della piccola finestra Olandese sul grigio lato della casa a mattoni di fronte.

Una mattina il dottore con le sopracciglia grigie ed arruffate invitò Sue all’ingresso con un’espressione preoccupata.
“Lei ha una solo possibilità su dieci, diciamo così, per sopravvivere” – disse il dottore, scuotendo il mercurio nel suo termometro clinico. “E questa possibilità per lei è la sua voglia di vivere. Altrimenti, preparandosi  a spendere i soldi per un agente funebre, fanno  di tutta la farmacologia intera una materia senza nessuna importanza. Vostra piccola signora ha deciso di non guarire più. Ha qualche desiderio particolare?”
“Lei – lei voleva dipingere la Baia di Napoli un giorno” disse Sue
“Dipingere? Sciocchezze! Ha qualcosa in mente? Pensa due volte, per favore – un uomo per esempio?”
“Un uomo? domandò Sue con la voce stridula. “Che un uomo merita…. – no, Dottore, non c’è niente del genere”.
“Allora, è solo la debolezza” rispose il medico. “Farò tutto il possibile che la scienza e i miei sforzi mi acconsentono di effettuare. Ma appena la mia paziente comincia a contare le carrozze nella sua processione funebre, la forza curativa dei medicinali diminuirà al 50%. Se riuscirai a farle fare qualche pensierino sul nuovo modello delle maniche per il prossimo inverno, ti prometto la possibilità di guarire 1 su 5, anziché 1su 10”.

Dopo che il dottore fu andato via, Sue tornò nella camera da lavoro dove pianse fino a spappolare  un tovagliolo. Dopo come niente fosse entrò nella stanza di Johnsy con la sua tavoletta da disegno, canticchiando ragtime.
Johnsy giaceva immobile con la testa rivolta alla finestra e la coperta sopra di lei non aveva neanche una piega. Sue smette di fischiettare, pensando che lei dormisse.
Sue fissò la sua tavoletta da disegno e cominciò un disegno ad inchiostro per illustrare una storia di un giornale. Giovani artisti dovettero aprire la loro strada all’Arte disegnando immagini per le storie di giornali che scrissero i giovani autori per aprire la loro strada alla Letteratura.

Mentre Sue stava facendo uno schizzo di un paio di pantaloni eleganti per andare a cavallo in una manifestazione equina e un ragazzo privo di un occhio come protagonista, un cowboy Idaho, sentì un suono sommesso che si ripete diverse volte. Si avvicinò velocemente al letto.
Gli occhi di Johnsy erano spalancati. Stava guardando dalla finestra e stava contando – contando a rovescio.
“Dodici”- disse lei e un attimo dopo “undici”, e dopo “dieci”, e dopo “nove”, “otto” e “sette” quasi insieme.
Sue guardò con ansia dalla finestra. Cosa c’era da contare? Si vedeva soltanto un cortile spoglio e malinconico, e il muro grigio di una casa a mattoni a distanza di 20 piedi. Una vecchia pianta di edera arrampicante, piena di nodi e marcia alle radici, saliva a metà del muro. Il respiro freddo dell’autunno strappò le foglie dalla pianta e adesso i suoi rami, ridotti al minimo, si stringevano quasi tutti nudi, al muro in rovina.

“Che succede, tesoro?” chiese Sue
“sei” rispose Johnsy, con un filo di voce. “Adesso loro cadono più in fretta. Tre giorni fa erano quasi in cento. Mi è venuto mal di testa per contarle. Ma adesso è tutto facile. Cade una dietro l’altra. Adesso sono rimaste in cinque.”

“Cinque di che cosa, tesoro? Dimmi “
“Foglie. Sulla pianta di edera. Quando cadrà l’ultima foglia, me ne andrò anch’io. Lo so da tre giorni. Non ti ha detto il medico?”

“oh, no! Non avevo mai sentito di una tale stupidaggine” – scherzò magnificamente. “Che c’entra una vecchia pianta di edera con la tua guarigione? Quindi ami talmente tanto questa pianta, birichina? Non fare la stupida. Proprio perché il dottore mi ha detto stamattina che le tue possibilità di guarire sono – fammi pensare – dieci su uno! E allora,  la tua guarigione è reale come quando stando a New York possiamo passare vicino ad un nuovo edificio passeggiando o andando in macchina. Cerca di mangiare un po’ di brodo adesso, e fai andare Sue a lavorare, così che lei possa vendere il disegno all’editore e comperare il porto per la bimba malata e le braciole per la sua amica mangiona”.

“Non c’è bisogno che tu prenda ancora il vino” disse Johnsy, con gli occhi che guardavano fissi dalla finestra. Sta cadendo un’altra. No, non voglio più il brodo. Sono rimaste in quattro. Vorrei vedere cadere l’ultima foglia prima che diventi buio. E poi me ne vado anch’io.”

“Johnsy, cara” disse Sue, chinandosi su di lei “puoi promettermi di tenere gli occhi chiusi e di non guardare fuori finchè non avrò finito il mio lavoro? Devo consegnare questi fogli entro domani. Mi serve la luce, se no dipingo ombra.”

“Non puoi lavorare in un’altra stanza” – chiese distaccata Johnsy.
“Vorrei stare qui con te” – disse Sue. “Inoltre, non voglio che tu guardi quelle stupide foglie di edera”
“Dimmi appena avrai finito” – rispose Johnsy, chiudendo gli occhi e giacendo bianca ed immobile come una statua caduta, “Vorrei tanto vedere come cade l’ultima foglia. Sono stanca di aspettare. Sono stanca di pensare. Vorrei rallentare la presa di questo mondo e lasciarmi volare come una di queste povere stanche foglie.”
“Cerca di dormire”- le chiese Sue. “Io devo chiamare Behrman e chiedergli di farmi da modello per dipingere un vecchio minatore eremita. Sarò di ritorno in un minuto. Non muoverti finché non torno.”
Vecchio Berhman era un pittore che abitava al pian terreno sotto di loro. Lui superò già i sessanta e aveva una barba da Mosè di Michelangelo che scendeva arricciata dalla testa del satiro lungo il corpo dell’imperatore. Behrman era un fallito nell’arte. Per quaranta anni maneggiò il pennello senza mai avvicinarsi troppo all’orlo della veste della sua Signora. Stava sempre per dipingere un capolavoro, ma non l’aveva mai incominciato.  Da parecchi anni   non dipingeva niente tranne piccolissimi lavoretti per la pubblicità o commercio. Guadagnava qualcosa prestandosi come modello ai quei giovani artisti nella colonia che non potevano permettersi di pagare il modello vero. Beveva troppo gin, e parlava ancora del suo eminente capolavoro. Per il resto era un orgoglioso vecchio piccolo uomo che derideva la dolcezza e tenerezza di ogni essere umano e che considerava se stesso un mastino in attesa di proteggere due giovani artisti nello studio sopra.

Sue trovò Behrman fortemente profumato delle bacche di ginepro nella sua buia tana sotto.  In un angolo c’era una tela bianca sul cavalletto in attesa di ricevere il primo tocco del capolavoro da 25 anni. Gli raccontò della fantasia di Johnsy, e che adesso lei aveva paura veramente, che Johnsy, come una foglia leggera e fragile, si lasciava portare dalla corrente, pian piano che il suo interesse verso il mondo diventava sempre più debole.

Vecchio Behrman, con gli occhi rossi dal pianto ininterrotto, urlò la sua disapprovazione e derise  queste fantasie stupide.

“Ma che idiozia! Allora al mondo ci sono le persone che muoiono perché cadono le foglie da una edera marcia? Mai sentito una cosa del genere. Non mi presto più a te come modello per un vecchio minatore eremita, stupido che non sono altro. Come hai potuto permettere che una tale stupidità è entrata nel suo cervello? Oh, piccola cara Miss Johnsy”.
“lei è molto malata e debole” disse Sue, “ e la febbre ha riempito la sua testa con le fantasie strane, rendendo il suo cervello malsano. Va bene, Mr. Behrman, se non Le importa di posare per me, non deve sentirsi obbligato. Ma vorrei dirle che Lei è terribilmente .. E’ una persona davvero poco seria!”
“sei come tutte le donne” – strillò Behrman “Chi ti ha mai detto che non mi importa? Andiamo. Vengo con te. Per mezzora ho cercato di dire che sono pronto a posare per te. Oh, Signore, questo non è esattamente un posto adatto da essere malata per una come Miss Johnsy. Un giorno dipingerò un capolavoro e andremo via tutti. Davvero!”

Quando loro tornarono, Johnsy dormiva. Sue abbassò la tapparella e fece il cenno a Behrman di venire in un’altra stanza. Là, scrutarono con timore il muro di fronte. E poi per un momento guardarono in faccia l’uno all’altro senza dire niente.  Fuori cadeva una fredda pioggia persistente, mista con la neve. Behrman, con la sua vecchia camicia blue, si sedette sopra un bollitore capovolto che fingeva da una montagna.

Quando Sue si svegliò la mattina, dopo un’ora di sonno, trovò Johnsy  con occhi spalancati e fissi sulla tapparella.
“Alzala, vorrei guardare fuori” ordinò lei, sussurrando.

Sue stancamente ubbidì.

Ma no! Dopo la pioggia sferzante ed impietose raffiche di vento che perdurarono tutta la notte scorsa, una foglia rimase sulla pianta di edera. Era l’ultima. Stelo verde scuro, con le estremità seghettate di colore giallo – segno di decomposizione e rovina, era sospeso coraggiosamente all’altezza di venti piedi dalla terra.

“E’ l’ultima” disse Johnsy. “Pensavo che fosse caduta durante la scorsa notte. Ho sentito il vento. Cadrà oggi ed insieme a lei cadrò anch’io.”
“cara mia” disse Sue, appoggiando il suo viso stanco sul cuscino “pensa a me, se non vuoi pensare a te. Che cosa farò io?”

Ma Johnsy non le rispose. La cosa più sola al mondo è l’anima in procinto di compiere qualcosa di misterioso, di partire.  Per lei questa  fantasia diventò più importante di qualsiasi altro legame di amicizia  sulla terra.

Il giorno si consumò, ma anche attraverso le tenebre potevano vedere una sola foglia di edera che si stringeva al suo stelo contro il muro. E dopo con l’arrivo della notte, arrivò il vento da nord e la pioggia continuò a battere violentemente contro le finestre e picchiettare sulle grondaie Olandesi.

Quando diventò abbastanza chiaro, Johnsy, spietata, comandò di alzare la tapparella.

La foglia stava ancora là.

Johnsy rimase a guardarla per tanto tempo. E dopo chiamò Sue che stava mescolando il suo brodo di pollo sul fornello.

“Sono stata cattiva, Sudie”, disse Johnsy. “Qualcosa ha fatto rimanere questa foglia viva per dimostrami come sono stata cattiva. E’ un peccato morire. Puoi portami un po’ di brodo adesso e un po’ di latte con qualche goccia di porto e – no, portami uno specchietto e aiutami  a sistemare i cuscini intorno a me, così ti vedo cucinare.”

Un’ora dopo lei disse:
“Sudie, Spero un giorno di dipingere la Baia di Napoli”

Il dottore arrivò al pomeriggio e Sue trovò una scusa per accompagnarlo all’ingresso.
“pari possibilità” disse il medico, prendendo nelle sue mani quella esile di Sue. “Con buona cura, vincerai”. E adesso devo andare giù, perché c’è un altro caso – si chiama Behrman,  una specie di artista, penso. Anche lui, polmonite. Lui è una persona anziana, debole, il suo caso è molto serio. Non c’è nessuna speranza per lui. Andrà oggi all’ospedale per fare le cose con più comodo.”

Il giorno dopo il dottore disse a Sue: “E’ fuori pericolo. Hai vinto. Alimentazione e assistenza e basta””

Quel pomeriggio Sue si avvicinò al letto dove stava Johnsy, che stava lavorando a ferri, facendo uno scialle  di lana troppo blu e troppo inutile, abbracciò lei, cuscini e tutto il resto.
“Devo dirti una cosa, topolino” disse lei. “Mr. Behrman è morto oggi dalla polmonite in ospedale. Era malato solo da 2 giorni. Il portinaio lo trovò senza forze, addolorato al mattino del primo giorno. Le sue scarpe e i suoi vestiti erano fradici e pieni di ghiaccio. Non sapevano dove lui avesse passato una notte così terribile. Dopo trovarono una lanterna, ancora accesa, e una scala che era stata trascinata dal  suo appartamento e alcuni pennelli e una paletta con i colori verdi e gialli misti fra di loro e – guarda dalla finestra, mia cara, guarda l’ultima foglia di edera al muro. Non ti sei mai meravigliata perché non si muoveva e non si tremava sotto il vento? Oh, mi piccolo tesoro, questo è il capolavoro di Behrman – lui ha dipinto la foglia quella notte quando l’ultima foglia vera cadde a terra”.

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